Rimedio non spontaneamente adottato nell’ambiente normativo (CT 121 e CT 64 del CEI)
L’ambiente normativo ha dimostrato nel passato poco interesse a dare indicazioni su come risolvere il problema quando gli interruttori devono essere utilizzati in condizioni fuori standard nei confronti del fattore di potenza. Lo ha fatto solo su pressante stimolazione esterna. Una situazione di stallo in proposito si è perpetuata per decenni. Il problema era stato infatti sollevato pubblicamente fin dal 1999[1]. La risposta del CEI è stata data in due occasioni sempre su espressa richiesta esterna, cioè non da esigenze interne all’ambiente normativo. Una prima volta nelle ultime pagine (pagg. 164-165) della guida CEI 121-5 (Domanda-Risposta n. 15). Una seconda volta nel commento all’art. 533.3.2 della norma CEI 64-8 inserito nelle ultime due edizioni. Ecco la soluzione proposta.
Si deve adottare un interruttore, provato con la prova di cortocircuito effettuata con i fattori di potenza convenzionali di tabella 1 di CEI EN IEC 60947-2. L’interruttore deve presentare un potere di chiusura nominale, secondo al norma, almeno uguale o maggiore al valore di picco della corrente di cortocircuito presunta da controllare, anche se non provato al fattore di potenza di impiego. Un tale interruttore rispondente alla norma presenterà un potere di interruzione valutato in condizioni convenzionali/standard, adeguatamente maggiore dello stretto necessario[2], cioè maggiore della corrente di cortocircuito presunta e tale però da disporre di un potere di chiusura, anch’esso valutato in condizioni convenzionali, pari almeno al valore di picco della corrente di cortocircuito presunta. Pertanto secondo l’ambiente normativo si propone come idoneo un interruttore che non ha superato né la prova di interruzione, né la prova di chiusura all’effettivo minore fattore di potenza. Una soluzione proposta che ci stupisce in quanto non di prassi presso il CEI, perché non conservativa, come invece di solito giustamente avviene.
Nella guida CEI 121-5 i normatori offrono un esempio numerico che descrive la procedura sopra descritta. Nel commento all’art. 533.3.2 della norma CEI 64-8, successivamente, si propone la stessa soluzione: cioè che nel caso in esame il progettista deve tener conto del potere di chiusura dell’interruttore e non del suo potere di apertura, al contrario di quanto chiede l’art. 533.3.2 della norma di maggior valenza senza far cenno ad alcun limite e/o riserva. All’inizio del commento il testo afferma che l’interruttore deve rispondere alle norme CEI EN 60947 e pertanto si ritiene che la prova di tenuta alla chiusura su cortocircuito sia da attribuire al fattore di potenza convenzionalmente previsto dalla norma e non al valore ad esso inferiore rispondente al caso in esame.
Un suggerimento sorprende però il lettore. Nelle ultime righe del commento si invita in proposito l’utente ad interloquire con il costruttore degli interruttori. Questo invito non è giustificato e denota il grande imbarazzo degli esperti normatori nei confronti della debolezza della soluzione al problema prospettata nel testo del commento.
Non pare accettabile che l’ambiente normativo consenta l’utilizzo di un interruttore in condizioni di cortocircuito più impegnative di quelle per le quali è stato provato sia in apertura che in chiusura.
Quel che è più grave è che la
procedura di selezione degli interruttori proposta risulta in contraddizione con quanto prevede
rigorosamente il dettato della norma CEI EN 60947-2[3].
Può una commissione impiantistica, senza portare specifici argomenti, proporre una soluzione che non tiene conto delle regole chiaramente indicate nella norma di prodotto? Concretamente gli esperti di una commissione tecnica impiantistica hanno ritenuto di poter estendere il potere di chiusura e soprattutto il potere di interruzione per interruttori di protezione, senza consultare direttamente ufficialmente i costruttori e cioè senza la garanzia che prove da hoc siano state condotte.
Inoltre chiediamo quando e come
l’ambiente normativo abbia prodotto giustificazioni scritte della soluzione
proposta, quando di contro in passato documentazione contraria è stata presentata.
Si osserva per completezza di informazione che il contenuto del commento all’art. 533.3.2 è in sostanza quello presente nell’art. 11.2.2 della norma IEC 61892-2; 2019[4] e dall’art. 8.2 della norma CEI EN 60092-202[5]. E’ indubbio che il problema di cui si tratta è maggiormente evidente per gli impianti elettrici a bordo nave e sulle piattaforme in mare.
La giornata di studio[6]
indetta a Trieste nell’anno 2019 non ha portato a chiarimenti.
Ricordiamo che il problema
prospettato riguarda non poche importanti situazioni con cui i progettisti si devono continuamente
confrontare.
.
[1] LETTERE ALLA REDAZIONE, AEI
Volume 86, n. 2 febbraio, 1999, pubblicazione nella rivista di una
lettera di denuncia del problema e si una lettera di risposta dell’allora
Segretario Generale CEI.
[2] Non valutato nelle condizioni della effettiva
applicazione.
[3] Si veda quanto, in proposito nei punti 2) e 3) di
queste note, è da collegare agli articoli 5.3.6.1 e 5.3.6.2 della norma CEI EN
IEC 60947-2; 03-2025.
[4]
CEI IEC 61892-2; 2019, Unità fisse e
mobili per la produzione e/o da sfruttamento degli idrocarburi in mare.
[5]
CEI EN 60092-202; 2021[5],
Impianti elettrici a bordo navi, Progettazione di sistema – Protezioni.
[6]
Giornata di Studio, La sicurezza elettrica a
bordo nave, organizzata da AEIT Sezione FVG e l'Ordine degli Ingegneri di Trieste